Facebook nei suoi 16 anni di storia non ha mai dovuto affrontare uno scandalo simile a quello che lo colpisce in questi giorni.
Circa 800 aziende hanno annunciato di ritirare le loro pubblicità dai social network gestiti da Zuckerberg, in quanto a loro modo di vedere Facebook non fa abbastanza per controllare e fermare i contenuti di odio che spopolano all’interno del social network.
Tra queste società rientrano pezzi da 90, come ad esempio: Coca Cola, Ford e Unilever.
Il nome della società Facebook, specie negli USA, sta venendo associato al razzismo e alle campagne d’odio; Zuckerberg dunque ha partecipato a delle dirette streaming cercando di dimostrare come non fosse vero che la sua società trae beneficio e vantaggio dalla propaganda di contenuti razzisti.
L’hastag #StopHateForProfit
L’hastag #StopHateForProfit ha spopolato su diversi social network, soprattutto su Twitter dove è stato nelle prime posizioni delle tendenze mondiali per diverse giornate, tanto da spingere ben 800 aziende ad aderirvi, questa community che è venuta a crearsi potrà influenzare in modo importante le decisioni dei consumatori, e di conseguenze delle imprese.
Questa community che si è riunita sull’onda del caso George Floyd è la maggior minaccia a Facebook degli ultimi anni, ancora più rispetto l’indagine del congresso degli USA e ai regolatori europei.
Zuckerberg in ogni caso vuole mantenere la libertà di espressione all’interno dei suoi social, anche se i contenuti marcatamente razzisti vengono bannati.
Secondo gli analisti Facebook è comunque destinata resistere all’ondata #StopHateForProfit; in media gli analisti hanno stimato un calo del fatturato dovuto a questo scandalo pari a 250 milioni di $, molto poco se confrontato al ricavo annuo di circa 77 miliardi di $.
Quindi sembra presumibile che il miliardario 36enne riesca a passare indenne anche questo polverone, d’altronde la libertà di espressione non può essere intoccata, aldilà degli estremismi che costituiscono un reato.
Contributo di Enrico Barbares